sabato 12 dicembre 2015

Eugenio Macedonio la sua vita nella cultura







Il giorno 22 Giugno alle ore 18, presso la libreria MOOKS- Mondadori piazza Vanvitelli, Vomero, eugenio Macedonio con il supporto intellettuale di Franco lista, Gaetano Evangelista, Greta e Barbara Macedonio è stato presentato "Il grande libro su Giuseppe Macedonio daglòi appunti del massimo ceramista del '900 - viaggio attraverso la sua memoria e le opere"


 780 pagine con più di 400 fotografie e una tiratura di soli trenta esemplari, numerati e autenticati che lo impreziosisce ancor più.
Edito per  Biblioteche, Musei e Istituti di Cultura non è un prodotto commerciale.
Ai presenti è stata offerta una brochure con i discorsi ufficiali di presentazione.




I libri su Giuseppe Macedonio dalla Fonte Certa.





                  
TITOLO: ERRATA CORRIGE. A Tutela della figura del massimo ceramista del '90  
                                             Documento a corso legale per la correzione delle inesattezze riportate nel 
                 catalogo "Giuseppe Macedonio scultore Maiolicaro".
AUTORE: Macedonio Eugenio.

PUBBLICAZIONE: A cura dell'autore; edito nel 2011 e distribuito gratuitamente fino a                                                                 esaurimento.
FORMATO: 80 pagine; 21 cm.

DOVE SI TROVA Presso l'autore, eumacedonio@libero.it.
                                 Presso La Sovrintendenza speciale per il patrimonio storico, artistico e                                                      etnoantropologico.
                                 Presso Il Brooklyn Museum, New York, U.S.A.
                                 Presso Centro Studi filosofici via Monte di Dio, 14. 
                                 Presso la Biblioteca nazionale Vittorio Emanuele III - Napoli.


NA0079 NAPBN - CODICE IDENTIFICATIVO: IT\\ICCU\NAP\0533799. 



TITOLO:  Il Grande libro su Giuseppe Macedonio, massimo ceramista del '900,                             viaggio attraverso la sua memoria e le opere

AUTORE: Macedonio Eugenio.

PUBBLICAZIONE: A cura dell'autore; edito nel 2016, 
non in vendita, distribuito alle biblioteche Musei                                   e Istituti di Cultura nel mondo. 
FORMATO: 790 pagine; 21 cm.

DOVE SI TROVA Presso l'autore, eumacedonio@libero.it.

 

                                  Presso La Sovrintendenza speciale per il patrimonio storico, artistico e                                                                 etnoantropologico.


                                 Presso la  Fondazione\Galleria d'Arte e Biblioteca Mario Melenzio,
                                                 Sant'Agata de'  Goti (BN) - OPAC, Arte della  ceramica, M738 (6).


                                 Presso la Biblioteca Nazionale Vittorio Emanuele III - Napoli.

non ancora disponibile al pubblico












Breve storia di Eugenio Macedonio.
Eugenio Macedonio nasce a Napoli il 14 di Marzo del 1946, a villa Paradiso (Vomero), da Giuseppina Garofalo, insegnante di discipline pittoriche e da Giuseppe Macedonio, Massimo ceramista del ‘900, autore tra l'altro della grande fontana nella Mostra d’Oltremare.
I ceppi delle due famiglie, paterna e materna, si perdono nella notte dei tempi...  
Interessante è scoprire cosa racconta la storia sulla progenie dei Macedonio, e dei Garofalo.
Un evento singolare nella discendenza dei Macedonio, molto lontana dal nostro tempo, riguarda il motivo per cui nacque la parola “eretico”. (fatto riportato da ogni buona enciclopedia).
Eretico Macedonio, progenitore del ceppo dei Macedonio, fu un peculiare personaggio vissuto intorno al terzo secolo. La sua forza fu di negare la santità dello Spirito Santo, riducendolo al grado e alle attribuzioni di un semplice angelo messaggero, cosa di cui la Chiesa non aveva modo per controbattere, essendo una realtà di fede teologica, quindi non tangibile.
Evento che  però dà l’idea di quanto quest'avo fosse “potente”, considerando che se uno di noi sollevasse oggi lo stesso quesito alla chiesa, mai avrebbe accesso alla Santa Sede per sottoporre l’interrogativo al Papa…
Questo particolare “atto di fede” compiuto da Eretico Macedonio provocò ampie fratture nel tessuto ecclesiale e non solo, creando differenti scuole di pensiero tanto forti da far portare dagli stessi Vescovi l’interrogativo al Concilio di Costantinopoli, tenutosi nel 381.
La Chiesa, ancora una volta poté solo prendere atto della sostanza, non avendo termini di contrasto da contrapporre.
Tuttavia, sapendo noi, per altre e più contemporanee vie che il potere non permette mai di far vincere altri se non se stesso, comprendiamo che quest’inalienabile principio, eloquio e scuola di vita per la Chiesa, fu la maniera sottile e pratica di tramutare il nome dell’avo nell’attuale significato encomiastico, trasformandolo da nome proprio di persona: “Eretico”, in sostantivo dal  diverso valore.
Fu l’unica possibilità a disposizione del Concilio di Costantinopoli per rendere manifesto il potere della Chiesa.
Il bello è che questa disputa da allora è rimasta tacitamente aperta tra i Macedonio e la Chiesa.
In tempi storici più recenti c’è da riportare che i Macedonio furono legati alla Corte di Svezia, al tempo di Re Ladislao da cui un ramo, in un ampio giro danubiano, scese verso lo stivale, stabilizzandosi all’ombra della corte Angioina, sotto il regno di Carlo Roberto del Casato di Napoli, cosa che accadeva intorno al 1308. Documentazione araldica visionata personalmente e di cui serbo un vago ricordo, (le date mi furono poi ricordate da una prozia materna). 
Fatti di famiglia che pubblico per lasciarne traccia, considerando che verso la fine degli anni cinquanta, questi documenti araldici di famiglia, furono bruciati da mio padre, durante un breve quanto intenso attacco anti-monarchico, subito sedato e mai più ripetutosi.
Un altro ramo dei “Macedonio”, dalla Corte di Svezia saliva verso la Russia.
La storia ci riporta che sistemarono i Romanoff al posto di uno stesso Macedonio sul trono di tutte le Russie.
Fatti che il tempo ha inteso come storie di famiglia, vecchi ricordi e nient’altro, considerando che quei documenti che per discendenza attribuivano a mio padre, il principato di…, seguito da una lunga sequela di nomi dell’Europa danubiana, non solo erano già da tempo decaduti ma quanto rimaneva del ricordo araldico, fu poi bruciato.
Non importa, la discendenza paterna vuole che dal 1308 ha abitato in Napoli, mentre il mio bisnonno paterno, Michele Macedonio, avvocato, poi il mio nonno Salvatore, mio padre che avrebbe dovuto continuare la tradizione forense se il destino non avesse voluto diversamente ed io stesso insieme ai miei figli, abbiamo abitato al Vomero. 
Sono ricordi lontani di cui non nascondo un vago piacere nel ricordarli.
Garofalo invece è il cognome di mia madre, di cui non conosco solo i fatti sulla  loro venuta a Napoli dalla Corte di Spagna, seguendo le sorti dei Borbone nel Vicereame del Regno delle due Sicilie fino alla trasformazione del Regno in “Repubblica Italiana”.
Delle tante dominazioni subite dall’Italia meridionale, precedenti e successive quella Greca,(Magnagrecia) l’ultima, non fu la dominazione Borbonica, se ci si pensa bene …
Fu la dominazione torinese, in teoria ancora in atto, messa in piedi dal Conte di Cavour, Camillo Benso e dai suoi degni compari.
In breve, la storia ci dice che sfruttando un ideale di unità patriottica allora in gran voga, questi intendevano saldare i loro debiti con la Francia, attraverso la conquista del Regno Borbonico… ragione per ingaggiare Giuseppe Garibaldi e i mille, al soldo di chiunque.
Speculazione classicamente italiana, mascherata da “patriottismo corrente”.
Basta ricordare che fu una corsa a chi prima arraffava, tanto è vero che sua Maestà il Re di Sardegna, allora Regno di capre e sterpaglie, non attese il ritorno di Garibaldi, vergognosamente gli andò incontro per farsi consegnare prima che ad altri, l’avvenuta conquista del regno delle Due Sicilie, in nome di un’ancora oggi inesistente popolo italiano. Vergogna che avvenne a Teano, luogo sconosciuto al mondo, tuttavia tristemente famoso nei libri di scuola come evento patriottico….
Conosco bene questa parte di storia, da sempre raccontata in famiglia, poiché il bisnonno materno era il Comandante delle Guardie Reali di Palazzo.
Si parla di lui anche in un film diretto da Lina Wertmuller su Francesco II di Borbone, in cui, in una scena sua Maestà perde un amuleto dal panciotto, un corno. Raccolto dal mio avo per restituirlo a Sua Maestà il Re Franceschiello che scaramantico com’era e a conoscenza dei principi della scaramanzia, gli disse di tenerlo. Amuleto che possiedo ancora, gelosamente conservato senza la corona d’oro cui era mantenuto, poiché nel primo dopoguerra per bisogno fu venduta.
A riguardo di quanto affermo vi è anche una pubblicazione sull’ultima festa Borbone “Il Marta”, descrittore e disegnatore di corte, i cui disegni dell’ultimo ballo di corte furono riproposti negli anni ’60 dall’editore Aldo Celi, in tavole dipinte a mano dal sottoscritto, Edizioni S.E.M. Napoli (Società Edizioni Meridionali), di cui una copia è conservata alla Biblioteca Nazionale Vittorio Emanuele II, Palazzo Reale Napoli.
Questo è il breve resoconto storico d’appartenenza.
In tempi a me contemporanei, posso dire di essere il primogenito di tre figli nati dal matrimonio di Giuseppe Macedonio, mio padre con Giuseppina Garofalo, mia madre e che alla nascita avrei dovuto prendere il nome del santo protettore di Praga, S. Nepomuceno.
Menomale che mio padre si oppose, dandomi il nome di sua madre, mia nonna Eugenia, rivolta al maschile.


  Sintesi del profilo artistico.
Eugenio Macedonio, figlio d’arte, enfant prodige, segue le orme del padre nell’apprendimento dell’Arte della ceramica intesa come espressione del pensiero e non come possibilità artigiana.


1952, all’età di sei anni, partecipa a un’esposizione d’arte, tenutasi in Germania con un bassorilievo di circa cm 15x35, rappresentante un toro, avendolo nascosto nella spedizione delle opere paterne.
Da questa esposizione ottenne l’incarico di studiare due modelli di “servizi da thè”, da committenti ignari della sua giovane età, fatto che fu per la famiglia motivo d’ilarità.
Si dedica alla realizzazione di manufatti in ceramica, unici nel loro genere, essendo prodotti fisici di un pensiero.
Tutto tondo, bassorilievi e pitture su piastrelle, rappresentativi di una personale visione del mondo, se pur osservato dalla sua giovane età. Le opere ben conservate dai genitori, furono poi gettate dalla sorella alla loro dipartita… per fare spazio.
Fu Giuseppe, Peppe Macedonio a insegnargli con infinita pazienza quest’arte, trasmettendogli molto più di quanto c’era da conoscere “sull’universo della ceramica”, andando oltre l’apprendimento delle diverse e complesse tecniche di realizzazione.
Il padre, Giuseppe Macedonio uomo colto e preparato, impartiva al figlio questi insegnamenti, lasciando trasparire la sua particolare “filosofia di vita”, al di fuori di ogni canone ripetitivo, in cui ogni opera in ceramica è e deve essere “espressione di un pensiero, descritto attraverso la forma e il colore”.
La ceramica di Eugenio come quella di suo padre è dunque l’espressione ultima di un pensiero, discostandosi dai prodotti artigianali delle velleità cosiddette “Artistiche” allora esistenti.
1956, Invitato a partecipare alla IV “Rassegna Internazionale dell’Artigianato Artistico”, Mostra d’Oltremare, dove con grande meraviglia riceve il secondo premio, con medaglie d’argento e diploma per le opere esposte, superando gli anziani quanto bravissimi maestri artigiani partecipanti, anche in virtù delle sue produzioni non artigianali (Documentazione archivio Ente Mostra d’Oltremare, Napoli).
1961, Esordisce, con una mostra personale di ceramica e disegni, nell’isola d’Ischia, Ischia Porto, al Cenacolo d’arte “La fornacella” di Vincenzo Murolo, scultore, figlio del grande compositore e fratello di Roberto, interprete della canzone napoletana, riscuotendo un successo internazionale (Articolo de “Il Mattino” e de “il Roma”, emeroteca della B.B. Nazionale di Napoli).  La passione per il mare, ereditata dal padre lo porta a praticare il canottaggio e la vela presso
 il Circolo remo e vela Italia, passione che gli resterà per sempre.        
1962, È invitato a partecipare alla V “Rassegna Triennale Internazionale dell’Artigianato Artistico”, Mostra d’Oltremare, dove ancora una volta è premiato come secondo massimo ceramista, con medaglie d’argento e diploma, superando ancora gli anziani quanto bravissimi maestri artigiani partecipanti, (Documentazione come sopra, archivio Ente Mostra d’Oltremare).
Partecipa a una rassegna Europea d’arte della ceramica d’Arte e non artigiana per l’industrial design da arredamento, realizzando oggetti d’uso pratico e domestico, Handverksmesse, Monaco di Baviera.
1964, consegue il titolo di “maestro d’arte per le arti pittoriche”, avendo avuto come maestri i pittori Casciaro, Chiangone, Striccoli, Tatafiore, solo citandone alcuni.
S’iscrive all’accademia di Belle Arti di Napoli in sezione “pittura”, ma avendo maturato molta esperienza con i “grandi”, ne resta deluso e l’anno successivo cambia per dedicarsi agli studi di “scenografia”.
Eugenio Macedonio è attento a ogni nuovo fermento culturale e stabilisce rapporti dialettici con critici delle arti decorative. L’attrazione per le nuove espressioni delle immagini lo spinge verso la frontiera della fotografia, stravolgendo anche in quest’arte il modo di vedere e fare. La fotografia, per lui, non è più solo strumento di memoria ma testimone di un mondo interiore e filosofico, riproducendo ciò che la realtà non rivela e che la macchina fotografica non riesce a riprodurre.
L’obiettivo diventa così l’occhio interiore dell’artista che dà voce intellettuale a immagini reali. Si stacca dalla ceramica, pur amandola molto, poiché non può competere con la lirica del genitore che ha assunto vette irraggiungibili.
1965, insieme con artisti famosi, fonda un gruppo d’arte.
Frequenta la “galleria Caiafa” in via Montesanto.
 “Punto di riunione” dei massimi artisti e della cultura partenopea di quegli anni e non “salotto perbenista e borghese”, com’era d’uso.
Espone in Napoli gigantografie che suscitano interesse e scalpore.
Lo studio dell’immagine converge con gli apprendimenti scenografici e questo lo spinge a compiere frequenti viaggi alla ricerca delle radici dell’’arte mitteleuropea, prima presso l’Accademia di Belle Arti, Monaco di Baviera, poi a Parigi.
Principale critico di se stesso è osservatore severo di coloro che saranno poi definiti i “grandi maestri”, con le loro fragilità di uomini. Il “dietro le quinte” di questi fulgidi artisti, gli mostra un mondo dove la vita è involta in se stessa e senza aperture.
Un mondo diametralmente opposto al suo modo di concepire l’arte.
1966, fa ritorno a Napoli, dove riprende gli studi di scenografia.
1967, Il diciassette di Aprile, consegue l’abilitazione per l’insegnamento della Storia dell’Arte negli Istituti di Stato, a quei tempi la più importante e difficile tra le abilitazioni, giungendo tra i sei unici candidati prescelti in Campania. Nella sua tesi paragona la descrizione dei templi greci e cristiani a confezioni di prodotti commerciali, in cui entrambi gli “involucri”, sono concepiti per attrarre il pubblico, pubblicizzando il prodotto.
Tesi che, se dapprima sconvolge e scandalizza la Commissione Nazionale preposta, (si ricorda che siamo nel ‘67!), nella discussione, invece, è compresa appieno, apprezzandone la lungimiranza.
Nonostante ne abbia i titoli, non insegnerà mai Storia dell’Arte, giacché avrebbe dovuto seguire schemi che, a suo giudizio, la sviliscono dissociandola dal contesto filosofico storico e umanistico. Su invito a realizzare una personale, partecipa insieme al gruppo da lui fondato, in Torre del Greco, Napoli e in seguito a Portici. Intervennero all’inaugurazione molte personalità della cultura e dell’arte come il dott. Ciro Ruju, allora critico d’arte; diverse testate giornalistiche riportarono gli eventi, a testimonianza del fermento culturale in atto. (articoli conservati nell’emeroteca della Biblioteca Nazionale di Napoli).
Invitato a un’esposizione personale d’immagini fotografiche presso la galleria Caiafa, è l’apoteosi di un anno di eventi strepitosi e Eugenio Macedonio, che non manca l’appuntamento col destino da tempo meritato, per ricevere una piccola sofferta gloria.
1968, è chiamato ad assolvere per 15 mesi il servizio militare. Tutto quanto ha faticosamente costruito, è congelato o peggio ancora, decaduto. Un disastro annunciato poiché la carriera artistica ha tempi ben precisi e non può essere interrotta; l’interruzione forzata danneggia l’artista che fino a quel momento aveva bruciato tutte le tappe, raggiungendo l’apice della notorietà nel mondo della cultura.           
1969, terminato il forzoso impegno a difesa del suolo Patrio, riprende il discorso mai lasciato con la fotografia, avendone concepito e affinata una visione “esoentrospettiva”, slegando le immagini fotografiche dai riporti di memorie, donando a quest’arte tecnologica nuova dignità, attraverso più profondi concetti, scaturiti dalle stesse possibilità delle immagini di poter manifestare il reale attraverso il pensiero trasformato in immagine.
Realizza una personale di gigantografie alla galleria Ferrari al Vomero.
1970, Esposizione personale alla Galleria Il Tarlo, Il successo è enorme, tanto che la manifestazione settimanale si replica per ben tre volte, seguito da dibattiti e inviti ad approfondire il concetto di arte come incontro tra prodotto di consumo e cultura.  Rifiuta di esporre alla Modern Art Agency di Lucio Amelio, Troppo legata al consumo dell’arte più che alla cultura. Il consenso gratificante gli giunge da più parti, perfino da quei salotti che da sempre ne contrasta il pensiero e per coerenza è lesto a starne lontano.
1971, si sposa con Imelde Landini, fin quando, nell’agosto del1978, la perde per sempre in un drammatico incidente stradale, in cui è anche lui coinvolto.
1971, Il linguaggio della fotografia è ormai l’unica espressione d’arte del Macedonio che assurge a vette talmente alte da fargli ottenere per “chiara fama”, oltre che per titoli, ben cinque cattedre per l’insegnamento della branca pubblicitaria, da cui scelse la ripresa foto cinematografica, (Documentazione archivio Istituto U. Bocconi). È da considerarsi quindi insieme a Antonello Leone (direttore del nascente I.S.A.), all’arch. Franco Lista, a Luigi Castellano (al secolo “Luca”) al prof. Salvatore Oppido, al prof Mario Fortunato e altri artisti napoletani, il “fondatore” dell’istituto Statale d’Arte U. Boccioni, per la sezione dedicata alla Grafica Pubblicitaria.
1972, presiede una mostra personale di diapositive in Napoli. Sottoscrive un importante documento provocatorio: “Contro l’Arte e gli Artisti” firmato dal Critico d’Arte Sanguineti voluto da Ciro Ruju; durante un evento culturale, ha un incontro informale con il critico d’arte Carlo Argan, con il quale ha un breve e acceso colloquio.
1973, è richiesto come art director per un’azienda internazionale di pubblicità; per molti il coronamento di un sogno ma egli collabora ai progetti saltuariamente, a causa d’impegni di più spessa cultura. Nello stesso anno è chiamato a rinnovare il documento “Contro l’Arte e gli Artisti”, fondato dal critico d’arte dott. Ciro Ruju.
1974, Riceve il livello di laurea per “ragion di stato” ed è immesso nel ruolo Ordinario per la Cattedra delle Arti legate alla fotografia. Espone al Vomero insieme a un nuovo gruppo da lui fondato tra i quali figura Vincenzo Bergamene, suo allievo, poi ordinario d’immagini visive presso l’AA.BB. di Napoli.
1975, espone in Napoli una sua personale, ma ha già in mente di far evolvere la comprensione dell’arte attraverso lo stimolo di più sensi.
1976, 1978, espone e presenzia molte sue mostre personali, collabora alla “Prop Art”, con Luigi Castellano, al secolo Luca e con l’Arch. Franco Lista. (Archivio Galleria Guida a Port’Alba).
1978, anno in cui perde per sempre l’amatissima moglie Imelde; il lungo ricovero ospedaliero, causato dall’incidente, lo pone di fronte a una nuova visione di vita. Affronta un percorso esistenziale che lo porterà ad attraversare molte e dolorose vicissitudini, in cerca di quei valori duraturi e universali.
1979, si risposa con Stefania Fusco da cui ha un figlio, Joel.
Si separano, dopo una lunga trafila burocratica e in tempi successivi incontra la persona che sarà la compagna per la vita, Giuseppina Prencipe, grafica artista, con cui dividerà una vita avventurosa.
Avrà due figlie, Greta nata il 1995 e Barbara il 2002.
1980, anno caratterizzato da un tremendo terremoto che contribuisce a stravolgergli l’esistenza dei napoletani già provati da forte disoccupazione.
1990, 1992, presenta “opere da gustare”, insieme alla sua compagna Giuseppina, con il “ristorante d’arte”, inaugurato per esprimere concetti non più attraverso il senso della vista, come per le arti visive, né tantomeno l’udito, come per la musica, ma attraverso il gusto, strabiliando gli avventori con personali creazioni.
L’animo d’artista poco si adatta alle regole del commercio, ragione per lasciare tutto e intraprendere con la compagna un lungo viaggio su un panfilo a vela d’epoca, dal ’92, fino alla fine del ‘95.
Durante i brevi scali nel Mediterraneo, visitando vecchi cantieri navali, assistono al degrado e all’incuria di molti oggetti di altri tempi, appartenuti alla vita sul mare e trattati come rifiuti, mentre Eugenio e Giuseppina li considerano testimonianze storiche del lavoro sul mare. I racconti degli uomini di mare come i pescatori, i marittimi, i militari delle Capitanerie, il vivere le loro stesse esperienze e difficoltà, condividendo la durezza di questo mondo, li coinvolgono sempre più instillandovi la convinzione che di questo mondo e della storia dei suoi uomini si sappia poco e che se ne sottovaluti il valore. È dal mare che è nata la vita e dal mare i primi uomini si sono spinti verso nuove frontiere, colonizzando per poi diffondere la civiltà.
Già nel ’92 coltivano l’idea di realizzare un Museo, che dovrà essere Etnologico e Marinaro.
Decidono quindi di sbarcare per cominciare i lavori e come spesso accade ai pionieri, aprono la strada ad altri, tirandosi indietro, non volendo essere confusi.
1995, dopo diversi ostacoli e vicissitudini, avvalendosi della brillante collaborazione di Francesco Russo, Eugenio Macedonio e Giuseppina Prencipe, alla presenza del primo cittadino di Procida, Napoli, avv Luigi Muro, e di esponenti Consiliari Parlamentari europei, presiedono il “taglio del nastro” per l’inaugurazione del Museo Etnologico Marinaro Partenopeo.
Il Museo offre interesse per le testimonianze esposte, documentazioni della cultura e della storia marinara del Mediterraneo, dal neolitico agli anni ’50, attraverso un percorso descrittivo di grande fascino e per la presenza di un laboratorio sul mare in cui, con ogni tempo si dimostravano i diversi metodi di navigazione a vela. 
il biglietto d'ingresso era comprensivo del periplo dell’isola, dimostrazione pratica di un Museo attivo, volto non solo alla memoria ma, per quanto possibile facendo rivivere l'uso della sua tecnologia in navigazione. Documentazione conservata presso la sua sede in Procida Napoli, cui ne è concessa la consultazione bibliografica e presso la Sez. Musei della Regione Campania. 
1996, In quello stesso anno il Museo Etnologico Marinaro fu invitato a partecipare alla “Biennale del Mare” tenutasi al Castel dell’Ovo, espressione politica di progetti per realizzare un museo. 
Cioè a dire un più moderno imbroglio rispetto alle manifestazioni sulle passate esposizioni artigiane, cui Eugenio conosce bene il significato, avendolo riportato nella sua pubblicazione:"Il grande libro su Giuseppe Macedonio, viaggio attraverso la sua memoria e le opere"...
Un gran mostrare di mezzi e possibilità che coinvolgeva perfino gli organi di Stato, una facciata ricca e vuota di ogni possibilità e speranze… 
...come il tempo stesso, inconfutabilmente ha dimostrato.
Concetto in conflitto intellettuale con il Museo Etnologico Marinaro Partenopeo, che era già una realtà funzionante, faro della cultura marinara.
Unica differenza, esistere per funzionare, non per speculare.
La nostra stessa esistenza all'interno della manifestazione era un chiodo rugginoso nel suo fianco, tanto che, non volendo riporti storici pur avendoci invitati esclusero il Museo Etnologico Marinaro dal catalogo di partecipazione. 
Questo secondo loro forse  evitava una storica figura meschina... 
Carteggio fotografico disponibile presso la sede del Museo.
Al biennio successivo Eugenio Macedonio e il Museo Etnologico Marinaro, prese le distanze da tali  manifestazioni.
Intanto quanto Eugenio Macedonio e Giuseppina Prencipe avevano creato fu d’esempio a due autoctoni procidani in cerca di facili possibilità: un bidello e il magazziniere dell’Istituto Statale Nautico di Procida che pensando a facili guadagni, vollero fondare anch'essi un Museo all'interno dello stesso Istituto, esponendo i vecchi strumenti didattici in forza alla scuola per scopi cui si comprenderà rimangono per forza di cose lontani dalla cultura marinara.
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Il progetto, avallato dalla direzione compiacente, chiese e ottenne dalla Regione Campania, sez. Musei, i fondi necessari per esporre sotto l’improprio nome di “Museo del mare”, quanto era già in possesso dell’Istituto.
Improprio, poiché gli oggetti esposti al più potevano considerarsi collezione strumentale,  dote comune degli Istituti Nautici Italiani e non “reperti” da interesse museale.
I due egocentrici quanto intraprendenti pigmalioni si erano limitati a spolverare i vecchi strumenti didattici in forza all'Istituto, esponendoli nelle stesse vetrine dove riposavano da decenni.
Poi per completare l’opera, pensarono bene di apporre all'Istituto una targa con i loro nomi, come fondatori del sedicente “Museo del Mare” i cui “reperti” esposti più che altro potevano destare curiosità agli scolari, mostrando il loro antico uso, non la loro storia, non avendo mai navigato, rimasti tra i banchi di scuola…
Si può immaginare la nostra avversione per quanto accadeva, essendoci ben resi conto in quali mani cadeva la “cultura marinara”.
La facile possibilità di reperire fondi regionali da adibire a questo scopo, spinse altri Istituti Nautici ad approfittare. 
se pur ritenemmo fosse un bene per gli stessi oggetti didattici che così ri-catalogati, non potevano più “andar persi”…, la co-fondatrice e responsabile della sez. Restauro marino, del Museo Etnologico Marinaro: Giuseppina Prencipe, ed io stesso, co-fondatore e sovrintendente del Museo, resoci conto di quanto si compiva nel nome e per conto della cultura e delle tradizioni marinare, profondamente delusi da questi accadimenti all'italiana, decidemmo di desistere dal continuare quanto per cultura oltre che per amore, con pazienza avevamo realizzato.  
Fu per questa ragione che donammo l’intero Museo, comprensivo di sale espositive e reperti, della sez. di Restauro marino, della Biblioteca marinara e del parco barche d’epoca funzionante, all’Isola di Procida, Napoli, nella persona del primo cittadino: il dott. Luigi Muro, prendendo le distanze da ciò che con evidenza appare sia stata un’ingannevole circostanza, realizzata in nome della cultura marinara.
2002, 2016, a tutt’oggi, Eugenio Macedonio continua a lavorare alle opere foto-grafiche, e a scrivere su eventi di rilevante interesse culturale, reperibili in Biblioteche e Istituti di Cultura, lontano dallo sterile blaterare urbano. Trasferitosi in campagna, condivide i momenti con la famiglia, contrariamente a quanto accade nella sfrenata corsa al guadagno o peggio alla glorificazione di se stessi.